SOLIDARIETA' CONCRETA

SOLIDARIETA' CONCRETA

Conto BancoPosta Numero: 1004906838 Intestato a: DAVY PIETRO - CEBRARI MARIA CHIARA

IBAN: IT22L0760101000001004906838 BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX

PAYPAL: www.laboratoriocivico.org


sabato 19 ottobre 2013


Là nella Valle: 6 / Natale afgano
di Sandro Moiso
natale1.jpg
“No!”
“Come no?!”
“Non me lo avevate detto!”
“Cosa non ti avevamo detto?”
“Quello che dovevo fare...pensavo di passare il Natale con i miei..”
“De Gennaro che cazzo dici! Da quando pensi di decidere tu cosa farai del tuo tempo?”
“Beh, io...”
“L’hai sentito Monti cosa ha detto: Basta con i corporativismi!”
“Sì. Ma adesso Lui non c’è più...”
“E Napolitano allora? Neanche Napolitano non c’è più?”
“Sì, vabbè...ma tra un po’ anche Lui non ci sarà più...”
”Per adesso c’è e te lo tieni e poi lo hai capito o no che l’agenda di governo non cambia...con o senza Monti!”
“Non so, ma in fin dei conti io ho già fatto dei turni molto lunghi in Clarea...”
“Tu hai solo fatto un sacco di cazzate! In Clarea e altrove! E adesso piantala e vedi di adeguarti agli ordini se non vuoi sostituire La Russa e gli altri nel tunnel radioattivo! Capito?!”
“Obbedisco!”
“Bene. Allora, come ti dicevo, il Ministero degli Interni ti ha organizzato una bella trasferta natalizia e un compito importante...”
“Ma mi aumenteranno lo stipendio?”
“Non pensarci nemmeno... e già tanto se non te lo decurtano.”
“Ma, insomma, mica potete ricattarmi così...”
“Non è un ricatto, è la spending review. Non è un fatto personale, ma se non guadagni almeno 150mila euro all’anno sei uno che allo Stato costa troppo e devi fare qualche sacrificio. Il posto val bene una tassa, no?!”
“Sì, sì ha ragione...”
“Certo che ho ragione! Ma adesso lascia che ti dica cosa devi fare e dove devi andare.”
“Ok.”
“Dovrai addestrare la nuova polizia afgana.”
“Cosa?! La polizia afgana? Ma là ci fanno la pelle e spesso sono proprio gli agenti che sono addestrati dai nostri colleghi e dagli americani che poi ci sparano addosso...”
“De Gennaro, tranquillo è tutto sotto controllo. E poi non dovrai andare tu là, ma saranno loro a venire qua. Contento?”
“Detta così mi piace di più... e dove li dovrei addestrare esattamente? A Roma?”
“Sì, a fare i gladiatori al Colosseo! Ma vuoi stare un po’ zitto e non fare tute queste stupide domande?”
“ Ha ragione, mi scusi.”
“Ben detto. Allora ecco i dettagli: ti saranno affidati trenta nuovi agenti afgani e tornerai con loro in Clarea per addestrarli dal 15 dicembre a fine febbraio.”
“In Clarea? Ad addestrarli?! Perché lì?”
“Semplice, perché i talebani durante l’inverno sospendono le attività, mentre i No Tav, in Val di Susa, no!”
“Quasi, quasi preferivo...”
“Quello che preferisci non conta un cazzo! E adesso vai, riceverai ordini più precisi tra qualche giorno.”
“Va bene, ma lì il terreno è radioattivo...”
“ Non ti preoccupare, alloggerete lontano dallo scavo. Nella parte alta del cantiere.”
“Nel Museo?”
“No, nelle tende. Occorre riprodurre la situazione afgana dal punto di vista ambientale”.
“Ma farà un freddo porco...”
“Anche in Afganistan d’inverno fa un freddo porco, quindi...adesso...TOGLITI DALLE PALLE E NON DIRE PIU’ NULLA!!!
Fu così che, dopo qualche giorno, l’agente scelto De Gennaro si ritrovò ancora una volta in Val di Susa. Accompagnato da trenta afgani dalle facce tristi.
E poiché i trenta agenti erano tutti islamici, tutti i derivati della carne di maiale e tutti i tipi di alcolici erano rigidamente proibiti.
Gli veniva da rimpiangere i turni precedenti con Muraro, Manganelli e gli altri.
E poi questi agenti che gli erano stati affidati parlavano peggio dei valligiani.
Non si capiva un cazzo di quello che dicevano e ci si intendeva solo a gesti.
Sì, qualcuno di loro parlava un po’ di inglese, ma De Gennaro proprio non ci stava con la lingua della perfida Albione. Fin dalle medie: respinto due volte in seconda media proprio a causa di quella materia (beh, sì poi anche di altre quattro o cinque...).
E adesso esercitazioni con scudi di plexigas e manganelli lì, sugli spiazzi innevati del cantiere.
Qualche lancio di lacrimogeni, uso della maschera anti-gas...insomma tutte cose facili da spiegare anche a gesti. E poi, ogni tanto, pattugliamento nei boschi vicini.
Quelli dovevano essere proprio capre di montagna, pensava De Gennaro, stavano in piedi, su quei sentieri ghiacciati, dove lui ad ogni passo rischiava di batter delle gran culate.
“Piano, piano, fate attenzione” continuava a ripetere, più che altro per costringerli a tenere il suo ritmo. Incerto e lento.
Però, erano proprio brava gente: non si lamentavano mai per i turni di sorveglianza notturna lungo le reti. Almeno continuò a pensarla così per qualche sera, fino a quando non si accorse che, in prossimità del cancello più in alto, gli afgani confabulavano e ridevano con qualcuno che comunicava con loro dall’esterno.
“Ecco, ci siamo – pensò – questi preparano un attentato e lì fuori ci sarà qualche cazzo di immigrato salafita terrorista e chissà che altro?!”
De Gennaro si avvicinò cautamente.
I tre agenti afgani stavano tranquillamente fumando e quando lo videro avvicinarsi gli rivolsero un sorriso e un gesto di saluto. Sembrava esserci nessun altro là fuori.
“Mi sarò sbagliato, sarà stato il vento tra i rami...solo quelle sigarette mi sembrano un po’ sovradimensionate. E poi che strano odore...valli a capire”.
Deciso a sorvegliarli ancora, prima di chiamare i superiori, De Gennaro ricambiò sorriso e saluto e proseguì nel suo giro di ispezione.
La catastrofe giunse qualche giorno dopo, la sera della vigilia di Natale.
Beh, già la telefonata per gli auguri a casa era stata deludente.
“Risponde la segreteria telefonica della famiglia De Gennaro. Lasciate un messaggio dopo il segnale acustico...”. De Gennaro chiuse il cellulare. Che cazzo poteva lasciar detto alla segreteria?
Si preparò a tagliare il panettone Coop, offerto al cantiere dalle cooperative rosse, quando si accorse che tutti gli afgani erano scomparsi. In affanno, ma cercando di mantenere la calma, volse lo sguardo intorno.
Niente e nessuno.
Fece il giro del cantiere e in prossimità dell’ingresso sulla strada dell’Avanà sentì ridere e vide le braci di numerose sigarette accese. Dentro e fuori il recinto.
Gli afgani erano là. Fumavano tutti e qualcuno di loro stava tagliando piccole parti da un panetto di materiale nero e untuoso.
“Cazzo!! Il C4! Proprio la sera di Natale...”
Ma gli afgani, vedendolo, iniziarono a fargli grandi segni di saluto invitandolo ad avvicinarsi.
Cautamente si avvicinò. Là fuori c’era altra gente.
Capelloni, ragazzi con i dreadlock. Ragazze con cuffie colorate e kefie.
Comunque bianchi. E fumavano tutti intendendosi a gesti e con qualche parola di inglese con gli afgani, mentre le sigarette passavano dentro e fuori le reti.
Il fulmine accecante della logica bianca colpì De Gennaro peggio del martello di Thor.
"Quelli si stanno a far le canne coi No Tav!!"
Addirittura qualche agente stava scambiando il proprio copricapo tradizionale pashtun con qualche maglietta con su scritto La Valle che resiste.
Doveva prendere immediatamente dei provvedimenti.
Sì e quali? Chiamare i comandi? La sera di Natale...l’avrebbero trasferito in Libia.
Si avviò, tra il mogio e l’incazzato, verso il capannello di persone.
natale2.jpg
Un agente gli offrì lo spinello sovradimensionato che stava fumando. Alzò la mano per respingerlo, ma poi colse gli occhi azzurri e il sorriso di una ragazza che, da oltre la barriera, gli stava dicendo “Forza agente, si faccia un tiro anche lei! E’ Natale...”
“Ma sì, vaffanculo – pensò – tutti a farsi i cazzi loro: parenti, dirigenti e afgani. E io qui a far il coglione..”. Prese lo spinello e tirò, tirò, aspirò e poi tirò ancora.
FLASH!! “Come cazzo era già quel telefilm dove agenti andavano avanti e indietro da una porta che comunicava con le altre dimensioni...Stargate?” Ecco, uguale. De Gennaro entrò in un’altra dimensione.
Che belli quei sorrisi bianchi degli afgani e quello dei ragazzi fuori e tutte quelle stelle... cazzo era stato lì per mesi e non le aveva mai notate. Aspirò avidamente ancora.
“Sento la musica...” furono le sue ultime parole prima di stramazzare nella neve.
Si risvegliò all’alba. Quasi ghiacciato.
Aprì lentamente gli occhi e ci mise un po’ a capire dov’era.
Non con chi era perché lì non c’era più nessuno.
E neanche al campo. Gli afgani avevano lasciato lì divise e sacchi. Ed erano scomparsi.
Solo a quel punto prese il cellulare e digitò il numero riservato, con le dita intirizzite.
“De Gennaro – rispose una voce infuriata, dopo numerosi squilli- che minchia c’è adesso, sono le sette del mattino di Natale!!”
“Sì, lo so. Mi scusi, ma è successo un guaio...”

(6 – continua?)

da CarmillaOnLine



domenica 13 ottobre 2013

MARTEDÌ 15 OTTOBRE 2013 – ORE 21 – PRESIDIO NO-TAV DI VENAUS


Rivoluzione in Siria
Prospettive anti-autoritarie

Il discorso mediatico sulla situazione siriana è dominato da considerazioni geopolitiche, dalla questione dell’intervento militare straniero e dall’imporsi dei gruppi islamisti e settari. Questioni di vitale importanza, senza dubbio, ma che hanno offuscato una reale comprensione di quale sia la situazione della lotta popolare sul campo.
Nell’incontro verrà fornita una panoramica sulle principali componenti del conflitto siriano, da quelle progressiste a quelle reazionarie, sia sul piano locale che su quello regionale e globale, con un’attenzione particolare alle questioni della resistenza popolare e della solidarietà internazionale.
La relatrice, Leila Shrooms, di origini siriane, ha lavorato per anni come attivista per i diritti umani in Siria. È co-fondatrice di Tahrir-ICN, un network per la costruzione di connessioni tra i movimenti anti-autoritari in Medio Oriente, Nord Africa ed Europa.

mercoledì 9 ottobre 2013

NEMICO PUBBLICO A VILLARDORA domenica 13 ottobre ore 15.00


Salone polivalente di via Pellissere 15


Domenica 13 ottobre, a Villardora al polivalente di Via Pellissere ore 15, presentazione della seconda edizione di Nemico Pubblico, il libro che sta facendo arrabbiare giornalisti e magistrati.
Sarà presente Wu-Ming che ha contribuito alla stesura del testo.
Il libro sta andando oltre ogni aspettativa e da metà agosto ad oggi abbiamo spedito circa 1000 copie in giro per l'Italia e continuiamo ad avere richieste, tanto che domenica sarà presentata la seconda edizione con una copertina rivista, una vignetta del fumettista Zerocalcare, una fiaba e gli aggiornamenti su Marco, il protagonista del libro.

mercoledì 2 ottobre 2013

FATE QUALCOSA!!!



admin-ajax
Fate qualcosa.
La rete di persone che in questi lunghissimi anni è stata tessuta in Italia e anche all’estero si fa viva con telefonate, e-mail, sms per chiedere che si faccia qualcosa (con urgenza), che ci si materializzi per cercare di arginare la valanga di fango che scientificamente orchestrata tenta di sommergerci. (Fate qualcosa).  Ma come, ancora? Pensavamo di aver fatto e detto/di tutto. Cos’altro ci dobbiamo ancora inventare? Strano come questa domanda rappresenti bene il quotidiano femminile (domanda storica). Sempre pronte ad interrogarci a inizio come a fine giornata: Ho dimenticato qualcosa? E’ tutto a posto? Ho fatto tutto? (come sempre e sempre di più delegate a coprire le mancanze dello stato sociale).
Questa volta in ballo c’è la difesa di un grande movimento popolare, di più, c’è una storia di oltre vent’anni dove ogni giorno è stato vissuto con intensità. Migliaia di persone quotidianamente hanno contribuito a renderla concreta mettendoci la faccia, portando idee, rendendosi disponibili, finanziandola. Una lotta, un’esperienza di territorio che molti non esitano a definire unica e che è partita e ha messo le sue basi non su un preconcetto ideologico ma studiando i progetti, i flussi di merci, l’impatto ambientale, i costi, verificando sul campo i dati in possesso. Negli anni è cresciuta anche la consapevolezza di avere fra le mani, di veder crescere qualche cosa che va oltre la semplice opposizione ad una grande opera inutile e devastante. Un modello di presa di coscienza collettiva che difficilmente può retrocedere, anzi, si allarga assumendo in sé tutti i temi più attuali: dal lavoro, ai servizi, alla sanità ecc. Partecipando e interrogandosi sempre.
Come ora. Ci si interroga sui fatti accaduti, sul significato che tutto questo assume, è un clima pesante, opprimente e sentiamo soprattutto ingiusto. E’ tale la violenza del linguaggio usato, la sproporzione dei racconti sui fatti realmente accaduti che vengono a mancare le parole per spiegare ai nostri figli increduli (e smarriti). Vediamo e sentiamo raccontare da giornali e Tv una storia che Non ci appartiene. Non siamo un problema di ordine pubblico, siamo una risorsa per questo Paese, siamo una risorsa perché in tutti questi anni il movimento è diventato una comunità critica, consapevole, che sa scegliere. E’ questo che fa paura?
Rivendichiamo il diritto alla partecipazione e alla gestione della cosa pubblica nel rispetto del bene comune e della volontà della popolazione.
Fate qualcosa, ci chiedono da tutte le parti.
Possiamo per esempio fare due conti (siamo abituate a far quadrare bilanci), e dunque siamo consapevoli dello spreco enorme di denaro pubblico sia per l’opera e sia per la badanza armata all’opera. E’ evidente che le dichiarazioni dei ministri che si dicono pronti a sborsare laute ricompense facciano venire l’acquolina in bocca a molti: imprenditori avvezzi a trafficare con fatture false, giri strani, fallimenti e nuove società a scatole cinesi. A chi ha sperato di guadagnare dalle olimpiadi costruendo mega hotel (che neppure in riviera potrebbero trovare clientele tali da soddisfare centinaia di posti letto), ed ora non ha gli occhi per piangere fa tanto comodo buttare la croce addosso ai notav e invocare lo stato di crisi sperando nelle compensazioni.
 Chiediamo alle donne (e però non solo alle donne), di prendere parola su quello che sta succedendo.
Conosciamo direttamente sulla nostra pelle la violenza, per questo la rifiutiamo, per questo deve fermarsi lo stupro della nostra valle, e deve finire l’autoritarismo militare su un intero territorio.
Fate qualcosa. Ci verrebbe da ribaltare la domanda e dire noi a voi: fate qualcosa.
Aiutateci ad impedire lo stato di polizia permanente in cui ci vogliono far vivere.
Fate qualcosa per denunciare questa campagna di stampa (che non si pone domande, non fa distinzioni, non esamina fatti e cose decisamente incongruenti che pure sono sotto gli occhi di tutti).
Fate qualcosa perché la storia di un movimento popolare come il nostro non venga liquidata manu militarifra le carte di una procura.
Stiamo resistendo perché vogliamo andare avanti, vogliamo vivere in pace nella nostra valle,vogliamo raccogliere i frutti di oltre vent’anni di crescita collettiva su tutte le questioni a noi care: ilfuturo delle prossime generazioni, le risorse del nostro territorio, intervenendo per risparmiarlo,risanarlo, non per rapinarlo; mettendo a disposizione le nostre capacità come alternativa al consumo dissennato e per un uso responsabile e consapevole delle risorse. Vogliamo riappropriarci del nostro tempo per partecipare alla gestione e alla cura della nostra comunità. Liberarci dal tav.
                                               Donne in Movimento Valle di Susa
(per il gruppo DIM Annamaria, Chiara, Daniela, Doriana,
Ermelinda, Patrizia, Paola, Rita ecc )