SOLIDARIETA' CONCRETA

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sabato 31 maggio 2014

Una montagna di libri contro il tav vol. III 6-7-8 giugno 2014: domenica


Con la collaborazione di: Libreria La Città del Sole, Tabor Edizioni, Associazione ArTeMuDa, Lu:Ce Edizioni, Movimento NoTav

mercoledì 28 maggio 2014

Una montagna di libri contro il tav vol. III 6-7-8 giugno 2014: sabato




La Piccola Orchestra dei Sentieri è un gruppo di moderni viandati e cantastorie che, alla moda antica, copre a piedi il territorio in cui porta le sue narrazioni 
musicali.



Con la collaborazione di: Libreria La Città del Sole, Tabor Edizioni, Associazione ArTeMuDa, Lu:Ce Edizioni, Movimento NoTav
continua...

UNA MONTAGNA DI LIBRI CONTRO IL TAV VOL. III 6-7-8 GIUGNO 2014

Eccoci alla terza edizione di «Una montagna di libri contro il Tav»! Quest’anno si terrà venerdì 6, sabato 7 e domenica 8 giugno 2014 tra il centro storico e la struttura polivalente (il “Pala-NoTav”) di Bussoleno e i vari presidi di lotta sparsi sul territorio valsusino, fino al cantiere-fortino di Chiomonte.

Sono più di vent’anni che su questo territorio è in corso una lotta dalle molteplici componenti e aspirazioni, radicata nella montagna, nelle Alpi e nella loro natura; una lotta contro le nocività, le deva- stazioni ambientali, il modello economico e le istituzioni che ce le impongono. Una lotta contro la criminalizzazione che, tra gli innu- merevoli attacchi repressivi, ha portato in carcere quattro di noi, in isolamento, con l’incredibile accusa di “terrorismo”.

Cerchiamo di esplorare sentieri nuovi, ma al tempo stesso anti- chi, verso un modo di vivere altro, un’autogestione della terra che abitiamo, e cerchiamo di farlo in molti modi, anche attraverso la riflessione collettiva, la conoscenza reciproca e il confronto di varie forme espressive. Se in passato «Una montagna di libri» era incen- trata sulla “narrativa” (romanzi, racconti, poesie...), quest’anno la prospettiva si allarga alla “saggistica” (antropologia, storia, filoso- fia...), in un viaggio oltre i confini tra le “discipline”, per abbattere le frontiere che frammentano un sapere di cui è urgente riappro- priarci in modo organico.

Questo è «Una montagna di libri», tre giorni di incontri, dibattiti, banchetti, editoria indipendente, scambi di libri, musica, letture, mangiate, bevute, passeggiate... nei luoghi della resistenza NoTav. Ed è in questo spirito che siete tutti invitati a partecipare attiva- mente a questo nuovo viaggio.

La fiera dell’editoria indipendente, con gli stand delle case editrici e vari banchetti di libri e non solo, si svolgerà per tutta la giornata di sabato dalle 9:30 fino a sera, nelle vie e nelle piazze del centro storico di Bussoleno e nel salone polivalente in via Walter Fontan n. 103 (al coperto in caso di pioggia).

Novità di quest’anno:


  • Spazio di libero baratto per lo scambio di libri usati (siete tutti invitati a portare libri da scambiare).
  • Punto di raccolta solidale per libri da spedire in carcere (per Chiara, Niccolò, Claudio, Mattia...).
Durante tutte le giornate: letture, presentazioni di libri, incursioni teatrali e musicali, incontri con gli autori.

Con la collaborazione di: Libreria La Città del Sole, Tabor Edizioni, Associazione ArTeMuDa, Lu:Ce Edizioni, Movimento NoTav


CONTINUA....

lunedì 26 maggio 2014

Una montagna di libri contro il tav vol. III apericena di finanziamento

... e visto che gli aperitivi ci piacciono....
Giovedì 29 maggio h. 18.30 Osteria La Credenza
via Walter Fontan 16 Bussoleno
aperitivo e presentazione del fumetto di 
Alessandro Caligaris per Eris Edizioni 

Hoarders: accumulo patologico o accaparramento compulsivo di una notevole quantità di beni anche se inutili o pericolosi.
E' un disturbo mentale ma quando è una società a soffrirne si crea un dentro, perfetto e asettico, dove i palazzi e i loro abitanti sono sinonimo di privilegio e potere, e un fuori, discarica infinita destinata al riciclo continuo di immondizia umana e non, che serve a mantenere il dentro pulito e ordinato. Due mondi legati da un flusso continuo di scarti più o meno tossici governato da un unico potente padrone. Tre uomini partono alla sua ricerca. Il loro desiderio di vendetta si confonde con la sete di un piccolo potere personale in grado di farli sentire grandi in una schiera di spazzatura umanoide. La tipica storia narrata da chi si trova sul fronte sbagliato della Storia in cui ogni riferimento a "fatti" o "persone reali" è puramente volontario.

Alessandro Caligaris (Torino 1981) vive e lavora a Torino. Laureato in pittura all'Accademia Albertina si occupa appunto di pittura, illustrazione, street art e chi più ne ha più ne metta! Crede fermamente nel detto "Impara l'arte e mettila da parte" e, se ve lo stavate domandando, ha avuto un'infanzia felice nonostante le dosi massicce di tivù berlusconiana.


sabato 24 maggio 2014

Una montagna di libri contro il tav vol. III 6-7-8 giugno 2014: venerdì

APERTURA VENERDI' 6 GIUGNO ALLE ORE 19.00 
piazzetta del Mulino Bussoleno - aperitivo e buffet

MUSICA DAL VIVO CON I "CANTAMBANCHI"


poster realizzato per i Cantambanchi
da Maria Giulia Alemanno
Un'occasione da non perdere per sentire questo gruppo storico della musica popolare, fondato nel 1969 da un gruppo di amici con un po' di conoscenze musicali, ottimo orecchio e tanta passione per cultura contadina, lavoro, resistenza e politica: Franco Contardo, metalmeccanico, Laura Ennas, fotografa, Renato Scagliola, giornalista, Piero Marchisio, esperto di telecomunicazioni, Giancarlo Perempruner, venditore all’Olivetti.


Il repertorio è quello della tradizione piemontese con qualche puntata in altre regioni, senza particolari motivi, solo il piacere di affrontare canti interessanti e belli. L’interesse è verso la cultura contadina che ha prodotto cospicui materiali vecchi di secoli, poi il lavoro, la resistenza, la politica. Insomma basi da cui sono partiti tutti quelli che hanno fatto musica popolare in quegli anni, con maestri come Dario Fo e i Cantacronache.


Cominciano a scrivere testi e musica. Non “canzoni di lotta”, o combat folk, come verranno chiamate vent’anni più tardi. Preferiscono aggirare gli argomenti con la satira, il surreale, la poesia. Ballate sull’energia, su Janavel, eroe valdese, Batista, condottiero di se medesimo, valligiano e contrabbandiere, la Bestiaselvatica. Mettono in musica temi già attuali ma non ancora pressanti come oggi: le troppe auto (Automobilesimo è del ’69), l’ambiente, il problema energetico, i genocidi culturali e non (Los Indios de la Langa), la crisi del Salvador, un anticipo del diluvio enogastronomico odierno (La canzone del cibbo 1980), gli emigrati italiani all’estero (La Svizzera del ‘75), il regime di Ceausescu (Rumena oh, 1979). Sul palco c’è sempre un’atmosfera di puro divertimento, con impertinenze scorrette , botte e risposte col pubblico, lazzi.

Con gli anni si aggiungono in pianta stabile due giovani, Francesco Bruni, sofisticato chitarrista, voce e percussioni, Claudio Perelli chitarra, tastiera, voce. E il giovanissimo Davide Scagliola, batteria e percussioni. L’organico dura vent’anni.

I Cantambanchi esistono oggi con l’aiuto di Daniele e Giuliano Contardo, figli di Franco, giovanotti musicisti professionisti che, dopo aver seguito la banda per anni da ragazzini, sono in grado di cantare e suonare tutto il repertorio. Pochi concerti, ogni tanto, molte cene cantate. Sovente.
estratto del testo di Renato Scagliola su “FOLK CLUB”, a cura di Franco Lucà, Genova, 2006


Alle 21:30, presentazione del nuovo libro di Tabor ediz.


“FOnDObOSCO”, fumetto di Marco Bailone




Un viaggio allucinatorio verso altri piani dell’essere, raccontato attraverso disegni in bianco e nero minuziosamente tratteggiati. Un racconto che si snoda tra larici, metamorfosi, animaletti del bosco, ma anche ospedali psichiatrici, cantieri, la tetra città. Un intrico di ispirazioni diverse e eterogenee, richiami immaginari e suggestioni nascoste... percorsi lasciati alla fantasia e all’intraprendenza del lettore.







Con la collaborazione di: Libreria La Città del Sole, Tabor Edizioni, Associazione ArTeMuDa, Lu:Ce Edizioni, Movimento NoTav

continua...

domenica 18 maggio 2014

CRITICAL WINE 2014

2 giorni di ottimo vino, buoni prodotti della terra e del lavoro, danze, teatro, libri e musica. Arrivederci all'edizione 2015!















sabato 17 maggio 2014

Mauro Baldrati su Carmillaonline 4




di Mauro Baldrati
Kahlo2[Riassunto delle puntate precedenti 1 2 3: Rick e Max, giovani attivisti del movimento No Tav, sono stati condannati a trent’anni di carcere per avere bruciato un compressore d’aria durante una manifestazione. Evasi dal penitenziario, stavano cercando di raggiungere la Slovenia, dove speravano di trovare aiuto e protezione, quando sono stati catturati dai militanti del Partito Democratico, condotti in un carcere privato della Lega Coop, sottoposti a tortura e condannati ai lavori forzati a vita.]
Cinque anni. Cinque anni di lavoro in un’azienda della F.I.G.A. di Semoletti (Federazione Italiana Gastronomi Agricoltori) li avevano fatti uscire dalla realtà.
Ma era realtà?
Sembrava un viaggio nel tempo: la campagna aveva vaste zone incolte, e molti contadini si spostavano con carretti trainati da muli, o cavalli. Accanto alle case coloniche erano sorte capanne di legno coi tetti di paglia, e non era raro vedere qualcuno che arava coi buoi.
Qua e là, appesi agli alberi, penzolavano gli impiccati, divorati dai corvi e dalle cornacchie.
Rick e Max erano riusciti a fuggire dal campo di lavoro. Si trovavano in Calabria, tra le colline, in prossimità di Lagonegro, in un campo di papaveri da oppio. Questa infatti era una coltivazione sulla quale Semoletti stava investendo ingenti capitali.L’oppio veniva venduto ai laboratori di raffinazione sudamericani (trasportato con gli aerei del Ministero dell’Agricoltura) che lo trasformavano in eroina pura. Tutto regolare, il quarto governo Superbone aveva concesso alla F.I.G.A. l’appalto della coltivazione intensiva per “scopi scientifici”.
Ma c’erano dei problemi. La penetrazione di Semoletti in Calabria, terra particolarmente adatta a quel tipo di coltivazione, non era andata liscia come in Puglia. La Ndrangheta era un’organizzazione internazionale, molto potente. I boss non avevano accettato la sottomissione alla F.I.G.A. di Semoletti, come i loro colleghi pugliesi della Sacra Corona Unita. Quindi era nata una guerra, che il Primo Ministro Superbone non era riuscito a scongiurare, nonostante una sorta di invasione degli squadroni della morte montiani coadiuvati da truppe speciali dalemiane. Il giorno dell’evasione c’era stato un attacco della ndrangheta con mezzi blindati e bombe a mano. Era nato un violento scontro a fuoco che aveva permesso la fuga di numerosi schiavi. Molti erano stati catturati, o uccisi, ma Rick e Max avevano pianificato con cura la migrazione verso la Francia: camminavano solo di notte, restando nascosti di giorno, in grotte, boschi, case diroccate. La stagione estiva era favorevole.
Avevano risalito la penisola mangiando quello che trovavano, rubando dai frutteti, dagli orti, dai pollai, spesso soffrendo la fame per giorni, ma avanzando con una sorta di tenacia disperata, perché non c’erano dubbi sull’esito di una nuova cattura: li aspettava la garrota, la forma di esecuzione introdotta dal Partito Democratico per giustiziare i terroristi.
Dopo molte notti di marcia erano arrivati in Lombardia, nei pressi di Lodi. Avevano in programma una sosta a Milano, dove era attiva una cellula clandestina della Resistenza. L’aveva rivelato loro uno schiavo appena arrivato in Calabria, prima di essere ucciso a frustate dai guardiani dalemiani perché si rifiutava di lavorare.
Stava per albeggiare. Occorreva fermarsi. Anche perché erano stremati. Rick aveva certamente la febbre. Avevano mangiato avanzi andati a male, trovati in un cassonetto di rifiuti in prossimità di un supermercato Coop. Erano nascosti in un cespuglio ai bordi dell’aia di una fattoria. La casa colonica, grande, malandata, aveva i muri segnati dalla muffa e dall’umidità. Di fianco era stata costruita una capanna, rudimentale, con materiali di recupero, assi, lastre di plastica, un pezzo di cartellone pubblicitario.
“Entriamo lì dentro” disse Max. “Magari troviamo qualcosa, cibo, acqua, vestiti. Forse possiamo restare nascosti fino a questa notte.”
Avevano strisciato sull’aia, fino alla porticina sgangherata della capanna, che avevano aperto senza difficoltà. Era un deposito di vecchi attrezzi, con un soppalco carico di pannocchie di mais messe a seccare. Erano riusciti a mangiarne una a testa, masticando a lungo i chicchi per renderli una poltiglia che i loro stomaci infiammati avrebbero digerito senza danni.
Mentre stavano cercando un riparo dietro uno scaffale crivellato dai tarli la porta si spalancò. La luce già accecante del sole irruppe nell’ambiente polveroso, sagomando in controluce la forma minacciosa di un uomo che imbracciava una doppietta.
“Chi siete? Che volete?” disse. Sembrava anziano, con la schiena curva, i capelli bianchi, la barba non rasata.
Rick e Max alzarono le mani. “Per favore. Volevamo solo dormire un po’. Siamo viaggiatori, in cerca di lavoro.”
“Viaggiatori, eh?” disse l’uomo. Non c’era sarcasmo nella sua voce. Sembrava stanco, come rassegnato. Fece un passo, entrò nella capanna. Continuava a fissarli, senza parlare. “Voi siete i due terroristi evasi, altro che viaggiatori.” Rick e Max non fiatarono. Pensieri vorticosi si incendiavano nelle loro menti. Era finita? Era la morte definitiva della speranza? Potevano aggredirlo, disarmarlo? Ma poi che fare con gli altri occupanti della casa? “Lo so chi siete” disse l’uomo, dopo una lunga pausa. “La televisione ha parlato molto di voi. Quelli” soggiunse, indicando l’esterno, “vi cercano come dei matti. Siete pericolosi, dicono. Pericolosi per loro. Beh, sapete cosa vi dico? Vi aiuterò. Perché i loronemici sono miei amici”
L’interno della casa era pulito, ordinato, benché fosse evidente la povertà. Sul fuoco del camino stava iniziando a bollire un paiolo. Una donna vestita di nero rimestava con un mestolo di legno. Non c’era una cucina moderna, ma un vecchio lavello di ceramica annerita, con un rubinetto del tipo industriale. Niente acqua calda, e il gas era staccato.
“Colpa delle bollette non pagate” disse la donna, la moglie dell’uomo. “E chi può pagarle? Il governo ha rincarato le tariffe fino a renderle inaccessibili. Non abbiamo neanche la luce, a parte un piccolo generatore, appena sufficiente per la televisione”.
Rick e Max infatti erano rimasti stupiti per la presenza di un televisore moderno, che strideva palesemente in quel contesto neo-arcaico.
“Tutti devono avere un televisore” disse l’uomo. “Anche chi non può permettersi il pane. Il governo li distribuisce gratuitamente, col generatore, perché i cittadini, dicono, devono essere informati. Vale a dire devono sorbirsi le prediche e le balle quotidiane di quei maledetti bastardi figli di puttana maiali ladri assassini…”
kahlo_il_piccolo_cervoLa donna lo interruppe prendendogli una mano. “Basta Arturo, ti prego. Non serve a nulla arrabbiarsi così. Ti fai solo del male. Ti rovini il cuore, e il cervello. E fai del male anche a me.”
L’uomo, che era diventato paonazzo, sembrò calmarsi. “Hai ragione, Rosa. Tanto quelli continuano a prosperare, mentre noi moriamo di fame.” Rick e Max addentarono un pezzo di pane, sul quale avevano spalmato un sottile strato di lardo tenero come il burro. “Si prendono tutto. A noi resta appena il necessario per non crepare. Gli esattori del partito arrivano tre volte all’anno e dobbiamo consegnare loro il raccolto, gli insaccati del maiale, il latte, tutto. E guai a nascondere qualcosa. Se ci scoprono veniamo frustati a sangue. Oppure uccisi sul posto, dipende dalla gravità del reato.”
La donna sospirò. Poi allungò una mano e appoggiò un palmo sulla fronte di Rick.
“Questo ragazzo ha la febbre” disse. “Dobbiamo portarlo dalla Stellina.”
“La Stellina?” disse Max.
“Sì, è una vecchia signora che cura noi contadini con le erbe” disse.
L’uomo ebbe uno scatto, come se volesse prendere a pugni l’aria. La donna, ancora una volta, lo calmò. “Voi ragazzi siete stati fuori dal mondo per cinque anni, giusto?” Rick e Max annuirono. “Scommetto che nel vostro campo di lavoro c’era la televisione. Perché c’èsempre la televisione.” Rick e Max annuirono di nuovo. “Scommetto che non facevano che ripetere che va tutto bene, benissimo, no? Che il governo lavora per risolvere i problemi del paese, giusto?” Rick e Max confermarono. La televisione, che era sempre accesa, non parlava d’altro. Avevano visto spesso anche il sosia di Riccardo Schicchi che predicava. “Beh, non esiste più niente” disse l’uomo. “Il paese non esiste più. La sanità è stata completamente privatizzata e affidata all’Unipol, che gestisce le cliniche private. Noi ne siamo esclusi. Come le pensioni del resto. Non possiamo pagare le quote. E’ tutto riservato a loro, i dirigenti del partito, i militanti, e i padroni.”
La donna sospirò di nuovo, col capo chino. “Però la Stellina è bravissima, trova sempre la cura, per tutti.”
In quel momento, con uno schianto, la porta si spalancò. Due uomini si affacciarono sulla soglia. Sembravano incerti, barcollanti. Impugnavano mazze da baseball.
“Allora, bifolco, dov’è lei?” disse uno. La voce era rauca, la lingua impastata. Erano sbronzi. Un forte odore di alcol si stava diffondendo nella stanza. “Eh, lurido contadino? Eh, miserabile morto di fame? Dov’è la tua bella figlioletta? Dove la nascondi?”
L’uomo si alzò, andò di fronte ai due uomini e si inginocchiò. “Vi prego, ragazzi, vi scongiuro. Ha solo quattordici anni. Lasciateci in pace.”
I due sghignazzarono. “Appunto, pezzente! Quattordici anni, una bella prugna ancora acerba! Tirala fuori, se non vuoi che bruciamo questa topaia!”
Rick e Max li osservarono attentamente: giovani, capelli scuri, facce ghignanti: renziani, senza ombra di dubbio. E quindi con l’istinto compulsivo dello stupro.
D’un tratto i due si accorsero di loro, pur tra i fumi della sbronza, e iniziarono a fissarli.
“Ehi, chi sono questi due stronzetti?”
“Ma io li ho già visti” soggiunse l’altro. “Sì, sono… sono…”
Rick e Max scattarono. Benché indeboliti dalla lunga marcia, e dalla denutrizione, avevano muscoli solidi, formati e consolidati dal duro lavoro nel campo. In un attimo furono addosso ai due renziani, i quali, ubriachi com’erano, non furono in grado di opporre resistenza. Max strappò la mazza al primo, che usò per colpirlo ripetutamente alla testa, sfondandogli il cranio, Rick trascinò l’altro sul pavimento, dove lo strangolò senza sforzo.
Si rialzarono, guardarono i due cadaveri, ansimando.
L’uomo era ancora in ginocchio, esterrefatto. La donna piangeva con la faccia tra le mani.
Il tempo sembrava fermo, la scena era immobile.
“E ora?” disse l’uomo, rialzandosi. Li avete uccisi. Per noi è finita. Saremo sterminati.”
Max andò verso la porta di ingresso, guardò fuori.
“Dovevamo farlo” disse Rick. “Vi avrebbero accusati di dare ospitalità a due terroristi, vi avrebbero uccisi tutti.”
“Lì fuori c’è la loro auto” disse Max. “Vado a nasconderla dietro la casa. Non si vede nessun altro in giro.” E uscì.
“Erano soli” disse Rick. “Secondo me andrà tutto bene. Dobbiamo solo seppellire i cadaveri. L’auto la porteremo lontano da qui, e la bruceremo. Non potranno risalire fino a voi.”
Si udì il motore accendersi, in cortile. Dopo qualche minuto Max rientrò.
“Seppellire i cadaveri?” disse l’uomo, con voce cupa. “Non è così semplice. Dobbiamo scavare una buca profonda, con le pale. Non abbiamo più le macchine, siamo stati costrette a venderle. Qualcuno potrebbe notarci. Gli esattori del partito sono sempre in giro, controllano, sorvegliano. E ogni giorno passa un elicottero.”
Tutti tacquero, per lunghissimi, interminabili minuti. Ognuno era immerso nei propri pensieri. Ed erano pensieri oscuri. Rick e Max si sentivano in colpa per ciò che avevano causato a quella famiglia. L’uomo e la donna erano travolti dall’angoscia.
Fu la donna, che uscì dalla sua disperazione, a proporre una soluzione.
Kahlo-Busto-in-gesso“Tagliamoli a pezzi. In tanti pezzi. Possiamo disperderli qua e là, seppellirli in piccole buche. Giù in cantina abbiamo tutto pronto per la macellazione del maiale, tra un mese.”
L’uomo annuì, mentre sembrava riflettere intensamente. “La macellazione, certo…” guardò verso la porta che conduceva in cantina. “Hai avuto una buona idea, Marta… ma possiamo… migliorarla. Possiamo addirittura ricavarne un utile.”
“Che vuoi dire?” chiese la donna.
“Sì… farò delle salsicce, dei cotechini, e dei prosciutti che sembreranno culatelli. Nessuno se ne accorgerà. E quando arriveranno gli esattori li daremo a loro, mentre per noi terremo quelli di maiale, che nasconderemo. Così… così…”
Si scambiarono occhiate, guardarono i cadaveri, tornarono a fissarsi, meditabondi.
“Così… quei cani rabbiosi si mangeranno tra loro!” conchiuse l’uomo. Poi guardò la donna, guardò Rick e Max, chinò il capo e disse: “Pensate cosa mi tocca fare, io, che prima dell’avvento di questo regime di belve ero vegetariano!”
E in quel momento tragico, coi due cadaveri scomposti sul pavimento, con una minaccia mortale che incombeva sulla casa come una creatura mostruosa, coi cuori oppressi dall’ansia e dall’incertezza del futuro, con quell’energia particolare, unica nel variegato mondo delle creature viventi che abitavano il pianeta Terra, quell’energia che porta l’uomo a staccarsi dalle situazioni, a rompere la spirale naturale di causa-effetto, di aggressione-fuga, incurante della tragedia che lo sfiora con le sue ali nere, i quattro personaggi che in quel momento abitavano la povera casa, ignorando tutte le incognite che sembravano vaporizzare il concetto stesso di realtà, scoppiarono in una lunga, torrenziale, liberatoria risata.
[Le vicende qui narrate sono finzioni letterarie. In esse compaiono nomi e circostanze reali in qualità di pure occasioni narrative. I nomi di personaggi e di enti del mondo della politica e dell’economia vengono usati soltanto ai fini di denotare figure, immagini e sostanze dei sogni collettivi che sono stati formulati intorno ad essi, e si riferiscono quindi a un ambito mitologico che non ha nulla a che vedere con informazioni o opinioni circa la verità storica effettiva degli avvenimenti o delle persone su cui questo racconto elabora una pura fantasia]
Le immagini sono di Frida Kahlo
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venerdì 16 maggio 2014

Mauro Baldrati su Carmillaonline 3




george_grosz_023_interrogatdi Mauro Baldrati
Riassunto delle puntate precedenti 1 e 2: Rick e Max, giovani attivisti del movimento No Tav, sono stati condannati a trent’anni di carcere per avere bruciato un compressore d’aria durante una manifestazione. Evasi dal penitenziario, stavano cercando di raggiungere la Slovenia, dove speravano di trovare aiuto e protezione, quando sono stati catturati dai militanti del Partito Democratico, condotti in un carcere privato della Lega Coop, e sottoposti a tortura.
Rick cercò di massaggiare l’articolazione della spalla slogata. In certi momenti il dolore diventava insopportabile. L’altra articolazione era miracolosamente rimasta intatta dopo ripetute applicazioni della tortura della corda, una pratica che risaliva all’Inquisizione. Erano procedure superate, gli specialisti dalemiani usavano i farmaci, come tutti, ma “due sporchi terroristi NO TAV” non meritavano neanche la spesa di un’aspirina.
Max aveva due dita fratturate e una ferita, causata da un chiodo conficcato nella mano destra, che si era infettata. Gemevano, ormai ridotti a ombre, spettri tra altri spettri, nella sala buia e quasi priva di ossigeno del carcere privato della Legacoop.
Non avevano rivelato nulla, nonostante i ripetuti interrogatori. D’altra parte cosa avrebbero potuto rivelare? I loro compagni del movimento erano stati quasi tutti arrestati. In quanto al “covo” sloveno, che sembrava interessare molto i dirigenti del Partito Democratico preposti alla repressione dei NO TAV , non avevano informazioni precise, a parte l’indirizzo di un bar dove “forse” avrebbero potuto incontrare qualcuno. Ovviamente i dalemiani non credevano una parola, e avevano continuato a torturarli fin quasi a ridurli in fin di vita.
“Ed ora?” chiese Rick. “Cosa succederà?”
Max non rispose. La debolezza, la disidratazione lo privavano di ogni energia.
“Ora vi processeranno” disse l’uomo barbuto che ormai impersonava il cicerone degli orrori. “Sarete condannati alla forca, o al plotone di esecuzione, o alla galera a vita. Dipende dal giudice. E’ discrezionale.”
Rick sospirò. Tutto era discrezionale, dopo che il terzo governo Superbone aveva privatizzato la giustizia, affidandola ai tribunali privati del Partito Democratico, e tutto il sistema di detenzione e pena, appaltandolo alle aziende della Legacoop.
Forse era mattina, forse era notte – la concezione del tempo era saltata nella stanza buia, senza finestre – quando la porta si spalancò e quattro energumeni dalemiani irruppero nella cella. Frugarono con le torce elettriche tra i presenti, allontanarono a calci i soliti disperati che invocavano acqua, finché individuarono Rick e Max, accasciati sul pavimento. Max fu trascinato fuori per i capelli, Rick per i piedi. In corridoio, imprecando, furono costretti a trasportarli con una barella, vista l’impossibilità di camminare.
Max si sentì afferrare per i polsi e per le caviglie, poi la testa gli girò e lo stomaco si rivoltò, perché ondeggiava in orizzontale, mentre i guardiani gridavano “oh-ohh-ho!”, e lo lanciavano in una camera, dove atterrò con violenza sul pavimento, sbattendo la testa e perdendo i sensi. Un colpo altrettanto violento lo fece per un attimo rinvenire: il corpo di Rick che precipitava su di lui.
Quando riaprì gli occhi, forse per gli schiaffi che qualcuno gli sferrava, forse per l’acqua che gli veniva versata sulla faccia, vide varie persone intorno a lui. Numerosi occhi scuri lo fissavano. Volti giovani, ghignanti. Qualche donna, giovane e carina, lo indicava con un dito e ridacchiava.
Renziani.
Non c’erano dubbi.
Erano caduti in mano ai renziani.
Ora non esistevano più alternative.
Allo stupro selvaggio.
“Ma come sono messi questi qua?” disse una voce. Chi aveva parlato sedeva indolente su una poltrona rossa, con una coperta sulle gambe. Era un tipo scuro di capelli, dalla fisionomia inconfondibile: il deputato sosia di Riccardo Schicchi, lo stupratore ufficiale del Partito Democratico, colui che rivendicava lo ius primae noctis. Sì, era davvero finita. L’ultimo atto. “Non vedete che sono coperti di merda e di pidocchi?” Risatine e squittìì tra i renziani. “Andate subito a lavarli. E disinfettateli. E fategli anche un’iniezione di metamfetamina, sono morti in piedi!”
george-grosz-hintergrund-p7I vestiti, fradici e puzzolenti, vennero tagliati con le forbici. Poi Rick e Max furono posti di fronte a un muro rivestito di piastrelle, e un guardiano li irrorò con un idrante. La pressione era elevata, e l’acqua quasi bollente, oltre che odorosa di disinfettante.
In condizioni normali sarebbero stramazzati al suolo, ma l’anfe correva furiosa nelle loro arterie, lanciava staffilate lungo la schiena, scariche nello stomaco, e li teneva in piedi con la sua forza bruta.
Nudi, gocciolanti, tremanti, vennero condotti per corridoi rivestiti di moquette, tra i lazzi, le risate e gli insulti di chi li incrociava. Qualcuno li spintonò, altri li colpirono con calci o scapaccioni. Ci fu chi sputò loro in faccia.
Di nuovo nella camera, di nuovo di fronte al sosia di Riccardo Schicchi, che era sempre seduto mollemente sulla poltrona.
“Inchinatevi di fronte all’onorevole presidente!” urlò uno dei giovanotti renziani. Un colpo dietro le gambe, sferrato con una mazza, li fece stramazzare in ginocchio.
Nessuno si mosse. Nessuno parlò.
Tutti aspettavano.
Soprattutto non parlava, né si muoveva, il sosia di Riccardo Schicchi.
“Sono due cadaveri” disse infine, con voce piatta. “Mi fa schifo farmi succhiare l’uccello da due zombies. Dategli qualcosa da mangiare, e da bere. Che prendano un po’ di colore.”
Mani li afferrarono, li trascinarono. Con calci, sberle e pizzicotti li costrinsero a mettersi a quattro zampe, poi vennero poste loro di fronte due ciotole a testa: una conteneva una poltiglia di un colore marrone scuro, l’altra acqua.
“Mangiate, cuccioli bastardi!”
Max iniziò a ingoiare la poltiglia. Era cibo per cani, spezzatino, polpette. Squisito. Saporito, tenero. Non mangiavano qualcosa di solido da settimane. Li avevano nutriti con una specie di brodo andato a male, dove i guardiani dalemiani orinavano.
Bere era più complicato. Come appartenenti alla specie umana non disponevano di una lingua sovradimensionata come i canidi, per cui dovevano succhiare, mentre i renziani li molestavano di continuo con pizzicotti e sculacciate.
Mangiare e bere li rinfrancò, e diede nuovo impulso alla forza motrice dell’anfe, che ruggiva nelle vene e negli organi interni.
Nuovamente in ginocchio davanti al sosia di Riccardo Schicchi.
In attesa.
Dell’inevitabile.
Il sosia di Riccardo Schicchi, con un gesto brusco, gettò via lo coperta. Sotto era nudo. Un pene di ragguardevoli dimensioni, già eretto, sembrava volersi protendere verso di loro.
“E ora” disse, con uno dei suoi ghigni linguacciuti, “datevi da fare, miei piccoli, adorabili, disgustosi maialini.”
george-grosz-hintergrund-p2Fecero loro indossare una specie di djellabah, una tunica bianca larga, svolazzante, pulita e ruvida. Così abbigliati, a piedi nudi, percorsero per l’ennesima volta lunghi corridoi, fino a una doppia porta di legno chiaro, spalancata, al di là della quale si intravedeva un tavolo di legno scuro.
Vennero condotti in un spazio recintato da sbarre di legno, alte circa un metro. Non c’erano sedie, per cui restarono in piedi.
Ancora confusi, anche per la metamfetamina che, in fase calante, confondeva loro i sensi, lanciarono occhiate in tutte le direzioni, occhiate voraci, forse disperate, per cercare di capire, o per avere conferme: alla loro destra, dietro a un tavolo piccolo, sedevano due persone, un uomo e una donna. Un altro uomo dall’aria indefinibile, con la testa bassa, sedeva a sinistra. Altri erano i piedi, addossati ai muri. E di fronte, dietro al tavolo di legno scuro, sedeva un tipo coi capelli grigi, una barbetta curata, un ciuffo ribelle da intellettuale sulla fronte.
Max lo riconobbe subito: era uno dei ministri plenipotenziari di Superbone, che si dilettava a presiedere i tribunali.
Perché quello era un tribunale.
Dunque li stavano processando.
E quel giudice, di cui non ricordava il nome, era famoso per la sua mancanza di pietà. Tutti ne parlavano. Non era cattivo, cioè non era dotato del sadismo naturale dei dalemiani, o dell’arroganza e della crudeltà adolescenziali dei renziani; semplicemente era del tutto privo di compassione umana.
“Apriamo il procedimento contro Ricciardi Massimo e Robecchi Riccardo” disse il giudice, fissandoli. I suoi occhi erano freddi, calcolatori. “Siete accusati di terrorismo, sabotaggio, devastazioni, attentato dinamitardo, resistenza a pubblico ufficiale, nonché dell’evasione violenta dal penitenziario di Piacenza.”
Violenta? Ma che stava dicendo, pensò Max. Semplicemente un secondino aveva dimenticato la porta aperta.
“La parola all’accusa” disse il giudice, indicando l’uomo e la donna seduti sulla destra.
Si alzò l’uomo, che si portò di fronte al tavolo.
“I due terroristi qui presenti sono tristemente famosi per le loro reiterate azioni di sabotaggio, nel corso delle quali ci sono stati numerosi feriti, oltre che danni molto gravi ad attrezzature tecniche, macchinari, utensili. Quando sono evasi dal penitenziario un agente di custodia, da loro aggredito, è rimasto gravemente ferito e rischia l’invalidità permanente.”
L’avvocato dell’accusa stava per continuare, ma il giudice alzò una mano. “Basta così, avvocato, grazie. Ho letto i rapporti. Ora voglio sentire la difesa. Prego, avvocato.”
Si alzò l’uomo che si trovava a sinistra. Aveva un’aria dimessa, un’espressione infelice sul volto pallido. Le spalle, gracili, erano spioventi, forse per l’abitudine di tenere la schiena curva. La corporatura, i modi, l’età, l’energia compressa, la postura depressiva lo qualificavano senza alcun dubbio come un fassina-civatiano.
“Signor giudice” esordì con voce bassa, poco più che un sussurro, “io… non sarei d’accordo con certi sistemi. Secondo me… dovremmo garantire qualche garanzia in più… ecco, agli accusati…”
Il giudice ebbe un moto di fastidio che fece immediatamente tacere l’avvocato della difesa.
Secondo me” disse, con voce tagliente, facendogli il verso. Fissò Rick e Max, fissò l’avvocato. I suoi occhi bruciavano di gelido disprezzo. “Sa cosa le dico avvocato? Secondo me lei deve piantarla di rompere i coglioni e fare il suo dovere! E’ chiaro?”
L’avvocato fassina-civatiano ascoltava immobile, con le braccia inerti lungo i fianchi.
“Dunque ha qualcosa di interessante da dire? Un’obiezione? Vuole pronunciare un’arringa?”
L’avvocato fassina-civatiano non alzò il capo. Parlò rivolto al pavimento. “No signor giudice. La difesa non ha nulla da aggiungere.”
“Oh. Questo si chiama parlare. Bene, torni al suo posto allora.”
L’avvocato, come un automa, raggiunse il suo tavolo, dove restò immobile, col capo chino, le mani giunte.
Il giudice tornò a fissare Rick e Max. I gelidi occhi grigi erano rasoi di ghiaccio che li tagliavano a fette.
“Ricciardi e Robecchi” disse, dopo una lunga, minacciosa pausa. “Col vostro agire avete creato gravissimi danni alla crescita e al progresso di questo paese. La vostra filosofia è solo distruttiva, i vostri cosiddetti ideali confusi e negativi. Il vostro egoismo è criminale. Voi non siete nulla, non rappresentate nessuno, a parte il vostro rancore, la vostra violenza e il vostro isolamento. Per cui, sentiti i rappresentanti dell’accusa e della difesa, ed esaminati gli atti, questa corte vi giudica colpevoli di terrorismo, con l’aggravante dell’odio sociale. La pena adeguata ai criminali sociali come voi sarebbe il plotone di esecuzione, ma il nostro Presidente del Consiglio, nella sua lungimiranza, ci sta chiedendo di essere magnanimi, comprensivi a generosi. Pertanto vi condanno all’ergastolo, da scontare ai lavori forzati, senza sconti di pena né concessione di permessi, presso le aziende della filiera agro-alimentare Figa. I vostri guadagni saranno interamente confiscati, per ripagare almeno in parte i danni che avete provocato al vostro paese. La seduta è tolta.”
E sferrò un colpo sul tavolo con un martelletto, proprio come nei film.
George-Grosz“Magnanimi un corno” disse Rick, senza smettere di fissare il soffitto della cella. “Il fatto è che Semoletti ha bisogno di nuovi schiavi.”
“Semoletti, eh?” disse Max, che era steso sulla branda a castello sottostante. Dalla sua posizione vedeva la finestra con le sbarre. La cella era piccola, ma pulita. Erano in attesa del trasferimento al campo di lavoro, li avevano ripuliti, curati, nutriti. Semoletti li voleva in forze, i lavoranti.
L’imprenditore miliardario del Partito Democratico, uno dei grandi spin-docktor di Superbone, era continuamente in espansione con la sua Figa (Federazione Italiana Grastronomi Agricoltori. Il nome era dovuto al fatto – secondo l’idea di Semoletti, peraltro suffragata dai risultati di mercato – che i prodotti italiani all’estero con quel marchio avrebbero goduto di uno straordinario appeal). La manodopera scarseggiava. Superbone aveva dato disposizioni che gli venissero assegnati i detenuti, oltre ai pochi immigrati che ancora si azzardavano a mettere piede in Italia, dove venivano immediatamente catturati e ridotti in schiavitù. Era leggendaria la sua entrata in scena in Puglia, con lo scopo di impadronirsi di tutta la produzione agroalimentare. Suoi inviati si erano presentati dai boss della Sacra Corona Unita intimando loro di aderire alla Figa. A Semoletti interessava soprattutto la rete di capolarato, che garantiva ogni giorno centinaia di braccianti a basso costo, senza contratto. I boss scoppiarono a ridere. Erano loro i padroni, chi cazzo credeva di essere questo Semoletti?
Il problema era serio, e andava risolto in fretta. Una guerriglia con la mafia pugliese avrebbe avuto effetti deleteri sul governo “del fare”. Così il Premier Superbone ebbe un’idea geniale: affidò le operazioni a un gruppo di nuova formazione, di cui si iniziava molto a parlare: i mercenari montiani. Spietati, efficienti, erano considerati assolutamente affidabili.
A bordo di SUV corazzati, armati con fucili automatici e lanciarazzi anticarro RPG, prelevarono i boss dalle ville fortificate e li giustiziarono sul posto con un colpo alla nuca. Poi, secondo la tradizione antica, i famigliari, i parenti, gli amici presenti furono tutti massacrati, e le ville date alle fiamme. Immediatamente dopo i sopravvissuti, coi loro affiliati, divennero dei “collaboratori” della Figa.
I giorni seguenti Superbone si presentò agli italiani dal video del network dove, adulato e magnificato dai “giornalisti” televisivi, annunciò con enfasi e un numero incalcolabile di sorrisi che la mafia pugliese era definitivamente smantellata. Secondo i sondaggi il suo indice di popolarità passò dall’82.54 all’89,91%.
“Così ora siamo diventati schiavi di Semoletti” disse Rick, con la sua migliore aria fatalista.
“Poteva andare peggio” ribatté Max. “Potevano impiccarci, strangolarci con la garrota. Ce la faremo.”
“Ah, sì? Certo, lavorando dieci-dodici ore al giorno sette giorni su sette. Beh, almeno ci daranno da mangiare, giusto?”
Sarcarsmo nella sua voce. Max si alzò in piedi, costrinse anche l’amico a fare altrettanto.
Lo abbracciò, lo strinse forte.
“Ce la faremo ti dico. Fuggiremo. Siamo sempre fuggiti. Non riusciranno a tenerci.”
“E poi?” disse Rick, con la bocca premuta contro la sua spalla. “Dove andremo? Ci cattureranno di nuovo.”
“Non è detto. Abbiamo imparato molto, nel frattempo. Cammineremo di notte, niente passaggi, niente autostrada. Andremo in Francia. Si sta creando una resistenza, ce la faremo ti dico. Abbatteremo i mostri, distruggeremo i demoni.”
Rick respirava forte. Il suo corpo era scosso da una vibrazione, come una scarica elettrica.
Cercava di nascondere la testa. Cercava protezione.
Forse piangeva.
Oppure rideva.
(Fine?!?!)
(Le immagini sono di George Grosz)
[Le vicende qui narrate sono finzioni letterarie. In esse compaiono nomi e circostanze reali in qualità di pure occasioni narrative. I nomi di personaggi e di enti del mondo della politica e dell’economia vengono usati soltanto ai fini di denotare figure, immagini e sostanze dei sogni collettivi che sono stati formulati intorno ad essi, e si riferiscono quindi a un ambito mitologico che non ha nulla a che vedere con informazioni o opinioni circa la verità storica effettiva degli avvenimenti o delle persone su cui questo racconto elabora una pura fantasia]