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lunedì 1 luglio 2013

6 luglio Presidio di Venaus ore 21.30 - Non per odio ma per amore - recensione da CarmillaOnLine


Postiamo, fra le molte presenti sul web, la recensione al libro pubblicata su CarmillaOnLine e l'intervista a Paola Staccioli e Heidi Giuliani sul Manifesto di Bologna a febbraio 2013 (link in fondo)

Pubblicato il  · in Recensioni ·
di Cassandra Velicogna
[Non per odio ma per amore, storie di donne internazionaliste, di Haidi Gaggio Giuliani e Paola Staccioli - Prefazione di Silvia Baraldini - Derive Approdi 2012]

Nemmeno 1000 pagine di libri, mille documentari, mille conferenze o mille racconti avrebbero potuto prepararmi a quello che ho visto qui. Rachel Corrie – lettera ai genitori qualche mese prima della morte.

Paola-cover-okQuesto libro è il racconto di una scelta: la lotta. Una scelta presa con coraggio e consapevolezza da alcune donne straordinarie che hanno abbandonato le rassicuranti leggi delle democrazie occidentali per combattere cause internazionaliste. Non le Ulrike Meinhoff o le Margherita Cagol, ma donne poco note, scivolate dal setaccio grossolano della storiografia. Un’operazione memoria che invogli alla lettura per far capire la loro scelta radicale oggi, all’epoca del femminicidio.
Dunque due introduzioni “blasonate” di Silvia Baraldini e Haidi Gaggio Giuliani; sei racconti per entrare, tramite una piacevole prosa di fiction, dentro le vicende di queste guerrigliere, e una folte appendice storica di approfondimento e contestualizzazione. Insomma un lavoro ben fatto.

La prima, raccontata dallo scritto “rimasto nel cassetto 40 anni” da Haidi Gaggio Giuliani è Haydée Tamara Bunke Bider, nome di battaglia Tania (Buenos Aires1937-Vado del Yeso, Bolivia, 1967). Tamara nasce da genitori tedeschi in Argentina, quando cade il nazismo la famiglia ritorna in Germania, est per scelta politica. Il suo impegno e le sue doti si sviluppano nei due continenti: Tamara si sente un po’ sudamericana e un po’ europea, come tanti in quegli anni. La cosa certa è che vuole dedicare la sua vita alla causa della rivoluzione permanente per la liberazione dei popoli oppressi. Per questo, dopo una parentesi cubana si trasferisce in Bolivia dove svolge un lavoro di “intelligence” sotto falso nome. Ben presto si addestra per la guerriglia e segue Che Guevara nell’ ELN (Ejército de Liberación Nacional de Bolivia). Solo un mese prima della famosissima morte di Guevara, Tamara (Tania per i compagni) incontra una pallottola che le strapperà la vita.

La nostrana Elena Angeloni (Milano1939- Atene 1970), invece, fa un percorso un po’ differente. Una vita normale e per questo straordinaria: 31 anni di vita senza tante ambizioni, un impiego, un marito (Veniero) e un figlio (Federico). Poi la svolta. “Voglio girare il mondo” dice e lascia tutto e tutti nella sua Milano per andare in Grecia con il serio intento di per abbattere la Dittatura dei Colonnelli. Sarà lo stesso ordigno che doveva esplodere per castigare la repressione che colpiva duramente i compagni e le compagne greci e internazionalisti impegnati su quel fronte a porre fine alla sua esistenza, a Atene nel 1970.

La storia di Monika Ertl, nome di battaglia Imilla, (Monaco di Baviera 1937-La Paz 1973) è una storia alla Kill Bill. Ma comunista. Pur trasferitasi in America Latina, la tedesca Monika ha il phisique du rôle per entrare inosservata nel consolato Boliviano a Amburgo e uccidere Roberto Quintanilla, il mandante dell’uccisione del Che! Una vendetta in piena regola, il riscatto della rivoluzione proletaria: il Che è morto, ma il suo foco è vivo. Un aneddoto davvero gustoso: la pistola che utilizzò Monika per giustiziare Quintanilla le era stata data da Giangiacomo Feltrinelli! Non ci sono più gli editori di una volta!

Barbara Anne Kistler (Kinem per i compagni) è nata a Zurigo nel 1955. Quando in Svizzera si proclama la Pace del Lavoro, un accordo tra sindacati e padroni per l’interruzione sine die degli scioperi, capisce che per le sue idee non c’è posto. Si affilia così al TKP (ML): un partito comunista rivoluzionario di composizione operaia e contadina che opera in Turchia. Non serviranno i duri anni di carcere nelle poco confortevoli (per usare un eufemismo) galere turche per farla desistere dalla lotta. Dopo un breve viaggio in Svizzera ripartirà per il Kurdistan turco, dove morirà da combattente, con il fucile in mano, nella località di Tunceli, esattamente 20 anni fa.

Penultima storia quella della militante Andrea Wolf , (Monaco di Baviera 1965-Çatak 1998). Nel 1987 Andrea partecipa alla fondazione del gruppo Kein Friede (Senza Tregua) e partecipa alle azioni del Fronte di unità della guerriglia in solidarietà alla RAF, per questo si farà alcuni mesi di carcere. Ma nei primi anni Novanta viene accusata di vicinanza con Klaus Steinmetz: il gruppo Kein Friede vuole farle una sorta di processo per la relazione con l’infiltrato. Non accettando di essere messa alla sbarra dai compagni e dalle compagne, se ne va a combattere con l’Esercito associazione donne libere del Kurdistan. Morirà in battaglia, per mano dei militari turchi.

Ancora oggi, vedere le foto del bel volto di Rachel Corrie insanguinato mi fa sorgere le lacrime agli occhi. C’è poco da dire su Rachel Corrie (Olympia 1979- Rafah 2003). Eppure è una storia che dobbiamo ricordare. Parte dagli States per forte convinzione che la causa del popolo palestinese sia meritevole dalla sua completa attività esistenziale. E’ giovane, è bella e americana. Potrebbe starsene a casa, ma no. Se ne va in quel martoriato pugno di terra che ha subito più di qualsiasi altro posto le angherie e l’ipocrisia dei potenti negli ultimi anni. Vede cose che non vorrebbe vedere eppure ne fa il carburante per la sua esistenza, decisa a fare il possibile per mettere fine all’occupazione, agli infanticidi, alla distruzione delle case, all’arroganza dei coloni. Fa parte dell’International Solidarity Movement, l’ISM e con esso fa valere come può quel passaporto americano come fosse un’arma. Ha solo 24 anni quando il conducente di una ruspa che sta abbattendo una casa palestinese la colpisce a morte con il mezzo. Semplicemente non si è spostata: non ha fatto un passo indietro di fronte all’ingiustizia.

Parlare di Rachel è anche una “scusa” per parlare di Palestina, di Vittorio Arrigoni e della situazione dell’indomito popolo palestinese. Le parole spese in questo senso non sono mai abbastanza.Ho raccontato sinteticamente delle storie, le storie di questo volume. Tuttavia non ho raccontato nulla: i racconti infatti non hanno queste donne come protagoniste, ma come soggetto. Le storie che Haidi Gaggio Giuliani e Paola Staccioli mettono in campo non sono la biografia sintetica e romanzata delle combattenti in questione, ma storie i cui personaggi hanno interagito in qualche modo con loro. Quindi le realtà indagate si moltiplicano, si entra in contesti e vicende differenti come in un romanzo storico. La narrativa si mette così al servizio della memoria. Consiglio un esercizio di immedesimazione, quotidiano, con queste donne che hanno preferito lasciare i confini perimetrali delle loro libertà di cittadine delle democrazie occidentali per lanciarsi nell’avventura della rivoluzione: il cambiamento del mondo dipende dalla capacità di rischiare e di stare dalla parte giusta che ognuna di noi può mettere in campo.

Vorrei obbligare a leggere questo libro quella povera infelice che dopo aver subito un tentativo di omicidio da parte del fidanzato è tornata a vivere con lui “perché lo ama”. L’amore è un’altra cosa: questo libro parla proprio di questo.

Intervista:

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